Camminiamo Insieme

by don Aurelio

La nostra comunità ha vissuto la fatica, l'ebbrezza e la gioia del "Camminare Insieme", un percorso le cui tappe sono state documentate dall'omonima pubblicazione avviata nel 1984. L'intento, tuttavia, non era solo costruire nuove strutture – che presto o tardi si rivelano modificabili, corrotte, pesanti e inefficaci (E G 189) – ma piuttosto forgiare nuove convinzioni ecclesiali e comportamenti pastorali.
Purtroppo, molti oggi si sentono demoralizzati e credono che nulla possa davvero cambiare all'interno della Chiesa, rendendo ogni sforzo inutile ai loro occhi (E G 275). Di fronte a un'epoca di profondo cambiamento, ci si chiede allora: che senso ha essere Chiesa? Siamo immersi in un periodo di trasformazioni radicali, iniziate a metà del secolo scorso, e il Concilio Vaticano II ci incoraggia proprio a questo cambiamento. Se nel secolo scorso si viveva di prospettive utopiche, oggi siamo invece tormentati da insicurezze e ansie per il futuro, e le visioni chiare sul domani sembrano mancare. Eppure, constatiamo numerosi cambiamenti che si manifestano come benedizioni provvidenziali: alcuni inaspettati, altri scelti e programmati, il tutto in un contesto di precarietà e di problematici mutamenti epocali. Nonostante ciò, a volte viviamo il cambiamento come un semplice cambio d'abito.
Per illustrare il vissuto ecclesiale dinanzi al cambiamento, propongo tre immagini significative:

  • La porta di una casa: che unisce il "fuori" e il "dentro", simboleggiando l'apertura e l'accoglienza.
  • La tavola imbandita: dove mangiare insieme è segno di riunirsi in una comunità, esprimendo condivisione e comunione.
  • Una vita nuova: che invita a non rimanere ancorati a un passato sociologico e culturale, come se il vangelo fosse un contesto eterno senza soluzione di continuità (E G 22), ma a guardare avanti.
Vivere è cambiare: un'avventura emozionante e una lotta costante in un'eterna primavera. Per alimentare i nostri sogni, è necessaria un'ardente passione per il senso cristiano della nostra vita, un potente carburante.
Dobbiamo riconoscere i cambiamenti per adeguare le nostre mappe mentali al mutare della situazione. Questo non significa necessariamente fare cose apparentemente diverse dal passato, ma mutare profondamente il nostro modo di essere. Come direbbero i filosofi scolastici: non si tratta di cambiare l'oggetto materiale, ma solo quello formale, ovvero la prospettiva e l'orizzonte "non sostanziale, ma accidentale". Cambiare, in fondo, significa crescere interiormente.
È inevitabile che certe leadership ecclesiali debbano sentirsi perennemente inadeguate di fronte alle sfide attuali. Innovare in profondità implica uscire dalla propria "comfort zone", affrontando un disagio iniziale. Questo richiede il coraggio di "smontare" stili consolidati nel tempo, poiché la nuova normalità risiede proprio in questo cambiamento.
Papa Francesco ha saggiamente affermato: "O si guarda la notte o ci si chiude in fortini". Non possiamo continuare a stringere tra le braccia il cadavere della vecchia cristianità; lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti: dobbiamo guardare il mondo in faccia. Restiamo in questa Chiesa per cambiarla e per darle nuova vita, per grazia del Signore. Per desiderare i cambiamenti giusti, occorre "amare" il Signore e le persone che Egli ci ha affidato come comunità ecclesiale.
Alcuni di noi sembrano pellegrini delle "vie francigene o romee", percorrendo circa 1800 km dall'Europa centrale a Roma, ma passando non da un santuario all'altro, bensì da una parrocchia "elettiva", non territoriale, all'altra. Questi sono turisti frettolosi ed emotivi dell'esperienza cristiana, che rischiano di non approfondire. L'iniziazione cristiana, infatti, non è semplicemente comunicazione di una dottrina, seguita dalla celebrazione compulsiva di alcuni riti sacramentali con risonanza massmediale ma senza una vera interiorità. Non si tratta di non partecipare vitalmente e responsabilmente alla vita di una comunità cristiana (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1267-1270).
Non si tratta di alimentare un infantile campanilismo, ma di non ridurre la Chiesa a una semplice "stazione di servizi elettivi-religiosi". Tutti siamo chiamati a impegnarci nella costruzione di comunità cristiane, "immagine profetica del Regno di Dio", dove ognuno si senta accolto, amato, perdonato e incoraggiato a vivere la vita buona del Vangelo (E G 114). Possiamo proclamare la necessità del rinnovamento ecclesiale, un rinnovamento che non può essere attuato con qualche toppa su un vestito logoro, poiché, come recita il Vangelo: "Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa del vestito e lo strappo diventa peggiore" (Mt 9,16).


2025-06-11