
Perdonati… perdonare
by don Aurelio
Il sacramento della riconciliazione è comune a due chiese cristiane: quella cattolica e quella ortodossa.
E’ detto sacramento della guarigione (in quanto è finalizzato ad alleviare le sofferenze spirituali del peccatore), assieme all’Unzione degli infermi (sacramento per alleviare la sofferenza fisica e morale del credente).
Nei primi secoli le confessioni erano molto diverse da quelle che conosciamo oggi.
Fino al V ° secolo le persone confessavano in pubblico le proprie colpe per riconciliarsi anche con la comunità.
La vita del credente era sostenuta dal Battesimo e rinforzata dall’Eucarestia.
Nel caso di peccati gravi ci si rivolgeva al Vescovo ‘una tantum’, cioè una volta soltanto.
Sia la confessione dei peccati sia la penitenza da scontare erano pubbliche.
Il peccatore, vestito di sacco, partecipava alla messa sulla soglia della chiesa e veniva allontanato dalla comunità finchè il vescovo lo abbracciava e, attraverso la celebrazione del perdono, era reinserito a tutti gli effetti nella comunità.
Nel V° secolo nei monasteri irlandesi (fondati da S. Colombano) si alleggerì la umiliazione pubblica con la doverosa 'privacy' e tutti i presbiteri avevano la possibilità di confessare.
Ebbe inizio anche la direzione spirituale e le due modalità di confessione (una più pubblica e l'altra più privata) poterono coesistere, almeno una volta all'anno.
Si indicava al fedele la penitenza sacramentale da compiere: un’opera buona o la recita di una preghiera, che simboleggiavano la volontà del peccatore perdonato di cambiare vita e di purificare la sua anima.
Per una riflessione più precisa e profonda, si consiglia di meditare il Catechismo della Chiesa Cattolica: Parte II, sezione seconda, capitolo secondo, articolo IV, dal n. 1422 al n. 1498.
Il perdono più che un gesto è un percorso e un cammino.
Non solo nell’accoglienza del perdono sacramentale da parte di Dio, ma anche nel perdonare i fratelli.
Purtroppo il rancore e la 'ruminazione' delle offese ci portano a ripiegarci su di noi.
Il risentimento è stato esplorato in filosofia da Max Scheler in 'Il risentimento nella edificazione delle morali'.
Come osserva Ricoeur, si ripetono i nostri fantasmi, anziché elaborarli.
Si resta bloccati e si ripete, come un disco rotto, la medesima storia.
A differenza della rabbia che è concreta e individuale, l’odio vuole la distruzione dell’altro.
Primo Levi, scampato ad Auschwitz, ha scritto : ‘chi fa a pugni con il mondo intero ritrova la sua dignità, ma la paga ad un prezzo altissimo, perché è sicuro di venire sconfitto’.
Per uscire da questa gabbia, come direbbe Freud, occorre operare il lavoro del lutto attraverso una pacificazione interiore.
L’empatia è un aiuto affettivo al perdono: Sofocle nell’Antigone fa dire a Emone: ‘dentro c’è il vuoto’.
Invece dobbiamo fare come le piante presso i torrenti, che percosse, si piegano cedendo, salvano i rami. Invece le piante che resistono sono schiantate fin dalle radici. E’ questa la resilienza, cioè la capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo difficile, facendo fronte a stress e avversità, uscendone rafforzati.
A differenza dell’odio l’empatia si mostra più vicina alla Verità. Per Husserl l’empatia ci aiuta a fare esperienza dell’estraneo, riconoscendone la diversità.
Scheler preferisce a empatia il termine ‘sim-patia’, perché non ci si limita a riconoscere l’altro, ma soprattutto se ne condividono gli affetti.
E’ segno di una buona struttura della personalità di persone mature, umili e serene.
La gratitudine aiuta ad iniziare un cammino di perdono, perché è antitetica ai sentimenti negativi come il risentimento e il rancore.
Smettere di tormentarsi come riconosce Etty Hillesum di fronte alla propria situazione di reclusa nel lager. Dare spazio ad atteggiamenti positivi è indispensabile per tornare a vivere.
E il primo segno che si sta perdonando, con risvolti benefici anche sulla nostra salute psicofisica.
2024-09-17