Si impara soffrendo

by don Aurelio

In questi giorni ho letto molte opere della letteratura greca (sec. V a.C.) e in molte tragedie greche ho trovato sentimenti profondi a livello umano di angoscia e di dolore. Il dolore umano c’è sempre stato: ogni epoca si è rapportata in tanti modi diversi. Credo che non ci sia esperienza umana, più della sofferenza, in cui l’uomo si pone di fronte a Dio, chiedendogli il ’perché’. La sofferenza prende l’anima, sconvolge la vita e come la morte, si pone sulla soglia del mistero.
Una risposta è nel saggio di Max Scheler ‘Il senso della sofferenza ‘ (Mimesis ,Milano,2023). Quante persone in questi 55 anni di ministero presbiterale ho visto ‘allontanarsi’ da Dio oppure ‘avvicinarsi’ a Dio per questo ‘Perchè’. Il Dio cristiano ‘ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna ‘ ( Gv.3,16).
Gesù accetta liberamente di soffrire per colpe non sue (cfr, Milton, Paradiso perduto, Bompiani, Milano 2009): ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò ‘ (cfr. Mt. 11,28).
Ricordiamo le parole del Principe Myskin davanti al Cristo morto di Holbein il Giovane, nell’Idiota’ di Dostoevskij. Nel bellissimo racconto di Tolstoj, ’La morte di Ivan Ilic’, Ivan, malato, trova conforto solo nella vicinanza affettiva di Gerasim, il solo che gli è vicino veramente, il solo che ha pietà di lui, che lo compatisce e quindi capisce. Consiglio di leggere la lettera Apostolica ‘Salvifici doloris ‘ di S. Giovanni Paolo II: Gesù è il senso della nostra sofferenza umana.
La sofferenza ci fa diventare noi stessi. Il grande scrittore inglese C.S. Lewis affermava che: ’il dolore è il megafono che Dio utilizza per svegliare un mondo di sordi‘ (Il problema della sofferenza’, VI). Davanti alla misteriosa realtà del dolore umano ‘il rimedio è guardare Cristo….’. ‘Colui che non porta la propria croce ogni giorno e non viene dietro a me ,non può essere mio discepolo’ (Lc. 14,27). E non è detto che sia meno impegnativo portare la propria croce ogni giorno, rispetto all’atto estremo del martirio. E’ un po’ quello che affermava Pirandello in ‘Il piacere dell’onestà’ (1917): ‘E’ molto più facile essere un eroe, che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto, galantuomini si deve essere sempre’.
Nei primi secoli della chiesa il crocifisso e la croce non erano rappresentati, neppure nelle catacombe (altri erano i simboli). Oggi purtroppo siamo abituati alla croce (un amuleto?...). Paradossalmente la croce è il segno della nostra libertà. La croce senza il Crocifisso non ha senso.
Nell’abside della nostra nuova chiesa abbiamo al centro il mistero pasquale: il Crocifisso ha vinto la morte e il Risorto ci propone la sua trasfigurazione misteriosa. Non la sofferenza, ma l’Amore salva. Nel vangelo non troviamo una dottrina sulla sofferenza, ma una prossimità e umanizzazione.


2024-10-15