Solitudine e comunione

by don Aurelio

Solitudine e silenzio introducono alla relazione e all’essere in comunione con Dio e con gli altri. Solitudine e comunione in Gesù si compenetrano armoniosamente. Il mistero della chiesa, una e molteplice, attraverso la dimensione dello Spirito Santo (pneumatologica) è fondamento della vita spirituale: Cristo unifica e lo Spirito Santo diversifica (Vladimir Lossky). La dimensione del deserto è luogo di incontro con Dio. Prima viene la Parola della separazione e poi la Parola della comunione. Dio chiama alla comunione non alla fusione, Dio nella solitudine ci apre alla comunione nella verità. Molti cercano la comunione per paura della solitudine, non essendo capaci di stare soli, cercano di vivere con gli altri. Chi si trova male nella solitudine con se stessi, spera di trovare aiuto nella comunione con gli altri e spesso restano delusi e imputano alla comunità quella che è la loro vera colpa. La comunità non è un sanatorio dello spirito. Chi non sa stare solo si guardi dal cercare la comunione con gli altri. Ma viceversa è vero anche che chi non si trova bene in comunione, si guardi dallo star solo. Il libanese Kahlil Gibran descrive molto bene nel rapporto di coppia la salvaguardia dell’identità personale: ‘Amatevi reciprocamente, ma non fate dell’amore un laccio…
Riempia ognuno la coppa dell’altro, ma non bevete da una coppa sola. Scambiatevi il pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta. E restate uniti, benchè non troppo vicini insieme, poiché le colonne del tempio restano tra loro distanti, e la quercia e il cipresso non crescono uno all’ombra dell’altro… ’. C’è la solitudine positiva: stare da soli, e c’è anche la solitudine negativa:sentirsi soli. Ogni tipo di scelta nella nostra vita comporta, a fronte di certi guadagni, anche dei prezzi da pagare, tali da produrre sofferenza. Bisogna evitare la eccessiva fusione, ma anche l’eccessivo evitamento. Nella solitudine si può proiettare verso gli altri le proprie difficoltà. C’è chi esaspera la distanza perché succube della propria immagine, teme irrealisticamente la possibilità di venire giudicato male dagli altri, dei quali non si fida nonostante i pubblici apprezzamenti delle loro qualità personali. C’è chi tiene le distanze per affermare il senso della propria autosufficienza o della propria malcelata difficoltà relazionale, ostentando pubblicamente la gioia della comunione fraterna. Spesso la solitudine diventa il segno di una duplice incapacità:

  1. da una parte a staccarsi da se stessi per aprirsi agli altri.
  2. dall’altra a separarsi dagli altri per ritornare a se stessi.
La cura dell’esperienza spirituale è il primo argine alla solitudine. La cura dell’amicizia aiuta a bilanciare l’inconveniente della solitudine negativa. La cura del servizio sociale nella relazione umana deriva dalla capacità di offerta gratuita e generosa. Dobbiamo mettere al centro della nostra relazione quello che si può offrire agli altri e mai quello che si potrebbe aspettare da essi. La solitudine non è una fuga: prepara all’ incontro, così come il silenzio è fonte di un continuo e ininterrotto dialogo. Certe fughe monastiche con l’asprezza arcigna dell’ascesi autoprogrammata compulsivamente, non sono segni di maturità ,ma ‘gusci di lumaca’. Alcune esperienze di solitudine ci conducono nel deserto dove si sperimenta il limite umano,con la sua ambivalenza: luogo di morte,ma anche di vita. Ogni relazione umana ha bisogno di distanza: quando si vive troppo incollati, in simbiosi, il rapporto diventa tossico. La persona è relazione, ma il deserto favorisce la relazione con l’essenziale e l’invisibile (cfr ‘Il piccolo principe’ di Antoine de Saint-Exupéry). La famiglia è modello e stile di comunione. Per costruire un ‘noi ecclesiale’ in una autentica relazione di fede con Dio,possiamo iniziare durante questo avvento una necessaria meditazione.


2023-11-24