
Carità 'umiliata' (1)
by don Aurelio
Oggi preferiamo fare del bene a persone lontane da noi, ad esempio tramite adozioni a distanza, piuttosto che dedicare un po' di attenzione a chi ci sta vicino. Gesù ci ha insegnato a farci "prossimi", a renderci più vicini, ad avvicinarci, a metterci nei panni di chi è povero.
Senza uno sforzo empatico, si rischia di riprodurre modelli "colonizzatori", di trasferire sui poveri le nostre visioni arroganti. Pretendiamo di aiutarli come pare a noi, senza un minimo sforzo di ascolto, e ci offendiamo quando il nostro buonismo non è riconosciuto con gratitudine. A parole diciamo di essere tutti uguali, ma nei fatti ci sentiamo superiori.
Non basta fare del bene in qualche modo per sentirci buoni. Se non stimoliamo la collaborazione del "potere locale", il coinvolgimento dei poveri… se ci limitiamo all’“elemosina-assistenza”, umiliamo la carità, che si riduce a un gesto che soddisfa il nostro egoismo per mettere a tacere le nostre coscienze. La compassione evangelica del buon samaritano gli fa "vedere" con empatia il povero incappato nei briganti e lo aiuta, non passandogli vicino con indifferenza.
La parabola della "condivisione" (Matteo 14,13), che erroneamente chiamiamo della "moltiplicazione dei pani e dei pesci", non solo deve portarci a "dare qualcosa", ma a educarci alla condivisione "con giustizia e con empatia". Non basta la materialità delle cose da dare, senza ascolto, con arroganza… al contrario, bisogna entrare in punta di piedi, preferendo la relazione come priorità, senza chiacchiere, coinvolgendo corresponsabilmente tutti: "Date voi stessi da mangiare", senza deleghe…
Non possiamo avvicinarci ai poveri in modo non evangelico, con un atteggiamento che umilia la persona dei poveri e la carità stessa. Non può mancare un progetto di promozione umana delle persone, in rete, per aiutare l'autonomia dei poveri, che non devono accontentarsi del minimo della sopravvivenza in cibo, posti letto… e adagiarsi comodamente nel nostro "assistenzialismo", senza cercare soluzioni migliori di vita e divenendo facile preda del mondo del crimine organizzato.
In modo prioritario, occorre aiutarli a produrre meccanismi di industrializzazione e di democratizzazione nei loro paesi di origine per renderli vivibili e governabili, nel rispetto delle loro culture e tradizioni, in un orizzonte di condono del debito. La carità richiede la disponibilità a elaborare un progetto rinnovabile periodicamente, per imparare la lingua, la cultura, le tradizioni e le leggi, senza lasciarli soli, senza integrazione. La carità esige di essere "pensata" in rete. "Amatevi come io ho amato voi" (Gv 13,34). Non chiamiamo carità ciò che carità non è. Bisogna restituire la gioia di vivere a chi ha perso ogni speranza.
Vicofaro è la cartina tornasole di una politica e di una carità miope e priva di idee. Ormai, alla politica come gestione della "polis", in quanto bene comune, si è sostituita un’arrogante propaganda che liscia il pelo all'opinione pubblica, spingendola a una gravissima regressione culturale, etica e umana. L'indifferenza e il silenzio di tanti "progressisti", le complicità di presunti "cattolici", le chiusure dell'opinione pubblica si sono sostituite a una "pensata" progettualità politica ed ecclesiale.
Una politica miope crea vicoli ciechi. È come un medico che si ostina a curare con dei placebo, piuttosto che operare sulle cause stesse di un malessere sociale, assecondando soltanto il desiderio del paziente di non soffrire (assistenzialismo). Abbandoniamo la politica dell'immediato, dell'emergenza… Con l'aiuto delle comunità ecclesiali, "pensiamo" a una nuova progettazione che contenga una nuova visione dell'uomo e del cristiano, dando concrete risposte alle emergenze di adesso. Torniamo a sognare oggi, però con i piedi per terra.
2025-07-19