
La speranza come profezia
by don Aurelio
Ho letto una pubblicazione di don Antonio Torresin, ordinato presbitero nel 1985 nella diocesi di Milano, che vi propongo con un linguaggio semplice e che forse anche per voi può ispirare profonde riflessioni riguardo al legame tra speranza e profezia.
Il Vangelo può diventare una parola profetica e di speranza quando rischiamo di adagiarci nelle proprie false sicurezze, in un momento di disperazione, quando tutto sembra perduto ma...
una crisi può favorire un nuovo inizio.
La fine del Regno di Israele nella deportazione, la fine della presenza di Gesù tra i discepoli (‘…era necessario che morisse…) e per noi oggi la fine della cristianità: una fine può diventare un inizio, come contrappunto, come contro-evidenza.
Ricordiamo Geremia : ‘Il profeta e il sacerdote si aggirano senza comprendere…’ (Ger. 14,18), mentre il popolo è in esilio, senza terra, senza re, senza il tempio…
Anche Ezechiele diventa un profeta muto “…chi vuole ascoltare ascolti e chi non vuole non ascolti: perchè
sono una genìa di ribelli”. (Ezechiele 3,24).
Credo che questo valga anche per noi oggi: al termine della pandemia, durante le guerre, alla fine della cristianità...
Prima delle parole di speranza i profeti sono critici verso il potere, verso l’idolatria e verso un culto senza giustizia. Sono pagine profetiche di denuncia e di condanna in un contesto di nuova spiritualità di quel popolo di poveri e di umili che confidano nel Signore. Ricordate le parole di Isaia: ‘ ci sarà una strada….’ (Isaia 43.16).
La seconda visione è del profeta Ezechiele (Ez.37,1): ‘Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti…’.
Il profeta non è un semplice testimone ma un attore… della rianimazione.
Ricordate S.Agostino: ’Qui te creavit, sine te, te sine te non redimet’.
Siamo consapevoli dell’intuizione marxista: ‘E’ finito il tempo di contemplare lo status quo della realtà; è invece giunto il tempo del cambiamento della rivoluzione, di cieli nuovi e terre nuove’.
Gesù invita: ‘alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura’. (Gv:4,35).
Quello che manca alla chiesa oggi è proprio una visione.
Non servono programmi, strategie pastorali, frammenti incollati della cristianità ormai finita.
Il processo di sinodalità iniziato nel 2021 chiede alle nostre parrocchie nuovi (non ripetitivi e non routinari) percorsi formativi per tutti.
La fede che nasce dall’ascolto (Rm 10,17), dell’ascolto vive.
Occorre più partecipazione e corresponsabilità (un uomo solo al comando sempre e dovunque non ha senso): pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere sinodalmente, consigliare senza imposizioni .
Veramente una chiesa sinodale missionaria e ministeriale.
Occorre imparare a esercitare potere e autorità in stile sinodale come generoso e sereno servizio che non esclude nessuno.
Il primo e più significativo rito del giubileo è stata l’apertura della Porta Santa il 24 dicembre 2024 e successivamente sono state aperte le porte di chiese importanti. Anche la nostra diocesi ha un programma giubilare ricco di iniziative. Che senso però ha lo spalancare le porte delle chiese, tuttavia tenendo le porte del nostro cuore chiuso per tanti.
Quando manca la profezia nella chiesa, manca la vita stessa di Dio e nelle nostre istituzioni ecclesiali hanno il sopravvento il carrierismo e il clericalismo. Abbiamo oggi bisogno di profeti credibili: espressione critica e sapiente del passato, corresponsabili nel presente e coraggiosi per indicare il cammino verso il futuro. Auspichiamo per la nostra chiesa: memoria, profezia e speranza.
2025-01-21